Antonio Musacchio
Le ricerche sulla sostenibilità hanno condotto alcuni architetti verso un nuovo modello di costruzione che va a sostituire
quello prettamente “consumistico” in cui l’edificio è luogo di trasformazione di aria, energia, acqua, vegetazione e materie
prime, mediante un meccanismo di consumo che lascia spesso inutilizzate risorse come il sole, il vento, la pioggia, il suolo, in scarti (aria viziata, calore disperso, acqua di scarico, rifiuti,…): le istanze di eco-compatibilità sollecitano infatti un rinnovato rapporto tra architettura e natura, nel quale l’edificio sostituisce al consumo l’utilizzo delle risorse impiegate e che, secondo un approccio eco-logico, instaura relazioni complesse con i processi di produzione della materia nonché sinergie con l’ambiente circostante 1, con particolare attenzione ai cicli dell’aria, dell’acqua e dell’energia in genere. Sembra dunque che la tendenza in via di affermazione sia quella di una sempre più stretta simbiosi tra architettura e ambiente e che rende sempre più labile il limite tra ciò che è natura e ciò che è artificio alle diverse scale della progettazione. Le istanze della sostenibilità disegnano dunque un auspicabile ritorno alla natura che si manifesta in operazioni di ibridazione del verde con l’ambiente edificato; apparentemente un vezzo estetico, questo manifestare una precisa intenzione, possibile linea di sviluppo del linguaggio architettonico, è di fatto un filo rosso nella storia dell’architettura che passa per le speculazioni di figure di rilievo come Le Corbusier, Andrea Branzi, Emilio Ambasz, James Wine, Gabetti e Isola, Jean Nouvel, Shigeru Ban, Kengo Kuma, BRT Arkitecten, Herzog e De Meuron; l’uso della vegetazione come materiale per il progetto di architettura sembra trovare legittimazione in una frase del filosofo francese Jean Baudrillard: “l’architecture est un melange de nostalgie et d’anticipation extreme” 2, in rapporto alla quale l’espressione assume il senso di manifesta tensione verso un ritorno alla natura.